Più che un salario di sussistenza, servirebbe un salario di produttività

Più che un salario di sussistenza, servirebbe un salario di produttività

Più che un salario di sussistenza, servirebbe un salario di produttività.

Il principale problema dell’Italia, infatti, è che tra il 2000 e il 2016 la produttività del lavoro è aumentata solo dello 0,4%, come dicono i dati Istat. Invece in Germania ha fatto segnare un +18,3%, mentre in Francia Spagna e Regno Unito “solo” +15%. Anni luce distanti da noi. E in materia l’Ocse ci definisce “maglia nera” tra i paesi industrializzati e non è un caso che il ventennale declino italiano corra parallelo proprio al crollo della produttività del lavoro.

Se in Europa siamo fanalino di coda per quanto riguarda il tasso di crescita e, anzi, siamo fermi se non in retromarcia, è evidente che bisogna cambiare strategia economica. Anche perché – a cominciare dagli 80 euro – le esperienze dimostrano che il sostengo drogato alla domanda non rilancia i consumi. Se a questo aggiungiamo l’entrata in vigore di misure assistenziali, l’assenza di investimenti, l’aumento della pressione fiscale, oltre ai toni da campagna elettorale, non si può che essere preoccupati. Allora, la speranza è che nel Def che il governo si appresta a inviare al Parlamento si possa dare la scossa e affrontare il tema della mancata produttività.

Infatti, il dato Istat sul lavoro “poco efficiente” è la conseguenza della scarsa formazione dei lavoratori, dei mancati investimenti in innovazione, della satanica pressione fiscale, previdenziale e burocratica, del gap tra domanda e offerta di lavoro. Allora, piuttosto che incoraggiare il non-lavoro, ingigantendo la platea dei tre milioni di NEET (persone che non studiano, non lavorano, né lo cercano), occorre puntare alla capacità di produrre di più e meglio, con maggiore intelligenza e un più alto livello di competenze professionali e di innovazione dei processi.

Anche perché i mercati globali, le filiere internazionali, la competitività tecnologica impongono di investire nella formazione continua e nell’efficientamento delle risorse e dei processi. E poi nella detassazione dei premi di produttività, favorendo la contrattazione decentrata (così da e adeguando turni di lavoro e stipendi all’andamento intermittente delle aziende).

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